Tuesday, April 28, 2015

La questione del Tibet: mito e realta'

La "questione Tibetana" e' un altro dei temi riguardanti la Cina che hanno fortemente scosso l'opinione pubblica Occidentale, e quella Italiana nello specifico.

Se tutto cio' che riguarda la Cina tende a diventare una fucina di miti, mezze verita' e luoghi comuni, credo che questo meccanismo raggiunga la sua apoteosi nel caso del Tibet. I motivi sono facilmente comprensibili: il Tibet e' un altopiano immenso e remoto, uno dei territori piu' inaccessibili del pianeta, e quindi possiede da sempre un alone di mistero e di misticismo per chi non ci vive. La cultura dei suoi (pochi) abitanti, da sempre piu' protesi verso l'aldila' che verso la loro piuttosto dura esistenza terrena, e' effettivamente inusuale ed affascinante.

In Occidente il Tibet viene spesso romanticizzato come una specie di paradiso pre-industriale, che preserva una antica spiritualita' Buddista basata sulla non-violenza. Film come "Sette Anni in Tibet" hanno popolarizzato questa visione, e diverse stelle dello spettacolo la hanno gia' fatta loro. Ad esempio Richard Gere, dopo un pellegrinaggio in India per incontrare il Dalai Lama, ebbe modo di affermare riguardo al Tibet: "Direi che l'Occidente e' molto giovane e corrotto. Non siamo molto saggi. E credo che siamo speranzosi che ci sia un posto antico e saggio e aperto e pieno di luce." Peccato pero' che la civilta' Occidentale non sia affatto giovane, anzi se prendiamo l'antica Grecia come suo inizio, l'Occidente e' ben piu' antico della cultura Tibetana e dello stesso Buddismo.

Il Dalai Lama e' stato molto abile nel fare leva su questa immagine mitizzata del Tibet in modo tale da attirare simpatia per la sua causa. Per via del fascino esercitato dal Buddismo Tibetano e dalla figura telegenica del Dalai Lama, la questione Tibetana attira assai piu’ interesse tra gli Occidentali che la situazione nello Xinjiang, l’altra regione Cinese dove serpeggia il separatismo. Eppure si tratta di situazioni di gravita' comparabile, anzi il separatismo nello Xinjiang rappresenta forse una preoccupazione maggiore per lo stato Cinese, siccome questa regione e' molto piu' popolosa ed economicamente avanzata del Tibet, e i movimenti Uiguri piu' estremi hanno gia' compiuto diversi attentati in tutta la Cina.

E’ un peccato pero’ che questa mitizzazzione del Tibet sia il frutto soprattutto dell'ignoranza di cosa sia veramente questa terra, come luogo reale abitato da persone in carne ed ossa. Allo stesso tempo la politica del governo Cinese, che nega il libero accesso al Tibet agli stranieri, non aiuta a diffondere una visione informata ed obiettiva di cosa vi succede. La cosa interessante e' che gli stessi Cinesi, per quanto insistano che il Tibet sia da secoli parte integrante del loro paese, vedono anche loro questa terra come un posto misterioso ed affascinante se non inquietante.  

 
Una immagine di alcuni nomadi Tibetani


Il punto di vista Cinese

Il punto di vista dei Cinesi sul Tibet non e’ molto ben conosciuto e compreso tra gli Occidentali, e credo che sia importante sopperire a questa mancanza. Non perche’ le posizioni Cinesi siano necessariamente condivisibili e da rispettare, ma semplicemente perche’ non si puo’ avere una visione complessiva del problema senza capire il punto di vista di entrambi i fianchi.

La versione della storia del governo Cinese, che tutti i Cinesi imparano a scuola, e' questa: il Tibet ha fatto parte del territorio Cinese fin dai tempi della Dinastia Yuan, nel medioevo. E' stata separata artificiosamente dalla Cina soltanto dall'aggressione delle potenze straniere, ma non appena il Partito Comunista ha riunificato il paese e cacciato gli stranieri, il Tibet e' giustamente tornato all'abbraccio della madrepatria.

L'altro fulcro della posizione Cinese e' imperniata sui vantaggi che i Tibetani avrebbero derivato dall'essere governati dal Partito Comunista. Le autorità Cinesi amano molto rimarcare quanto fossero terribili le condizioni di vita nel Tibet prima della sua "liberazione" da parte dei comunisti, e quanto il sistema guidato dai Dalai Lama fosse feudale e teocratico. Secondo la loro versione i contadini ed i nomadi Tibetani, oppressi dalla casta dei monaci e dai proprietari terrieri, esultarono per la venuta dei comunisti, che li liberarono dalla schiavitù e dallo sfruttamento secolari.

La rivolta del 1959 (vedere sotto) viene presentata come un tentativo della vecchia aristocrazia di riprendersi i propri privilegi, ed il Dalai Lama deriso come un despota che vuole riportare indietro il Tibet ad un medioevo teocratico. Ancora oggi, gli articoli sul Tibet nelle publicazioni Cinesi dirette agli stranieri riportano le inevitabili interviste con ex-schiavi liberati dopo la venuta dei comunisti, che ricordano quanto fosse terribile la vita nel "vecchio Tibet", e quanto adesso siano tutti felici. Non mancano mai anche le descrizioni delle terribili torture a cui venivano sottoposti gli schiavi che fuggivano dai monasteri.

Il governo Cinese sottolinea spesso di aver apportato aereoporti, ferrovie, ospedali ed infrastrutture moderne in Tibet, sbandierandoli come prova del fatto che questa terra ha soltanto guadagnato dalla sua inclusione nella Cina Popolare. I disordini e le sommosse sono descritte sempre come l'opera di pochi facinorosi incitati dalla "cricca" del Dalai Lama.

La stragrande maggioranza dei cittadini Cinesi sostiene la posizione del proprio governo sul Tibet. Il sistema scolastico ed i media Cinesi instillano l'idea che "l'unita' della Cina" sia un valore irrinunciabile, e che le spinte separatiste siano il frutto dell'intromissione di potenze straniere che vogliono dividere ed indebolire la Cina, come hanno "sempre" fatto in passato. Quasi tutti i Cinesi di etnia Han (quella maggioritaria) accettano questa visione delle cose.

Il fatto che la lingua e la cultura Tibetana siano cosi diverse dalla loro non serve affatto a far sorgere dubbi tra i Cinesi riguardo al fatto che il Tibet faccia parte della Cina. Secondo quello che i Cinesi imparano a scuola, la Cina e’ un paese multietnico composto da 56 etnie, ognuna con una propria lingua e cultura, e quindi al Cinese medio non appare affatto strano che una popolazione cosi’ diversa faccia comunque parte del suo paese.

Inoltre i Cinesi Han sono generalmente convinti che i Tibetani e gli appartenenti ad altre minoranze godano per legge di una posizione privilegiata rispetto agli altri Cinesi. E' vero effettivamente che tutte le minoranze Cinesi, incluso i Tibetani, godono di una serie di vantaggi: non devono sottostare alla politica del figlio unico, e certi posti nelle universita' e negli uffici governativi sono riservati alle minoranze.

La storia

L'altopiano Tibetano, anche detto "il tetto del mondo", e' un territorio enorme. L'intero altopiano ha un estensione paragonabile all'Europa Occidentale. Ciononstante, per via delle impervie condizioni climatiche, i Tibetani sono sempre stati pochi. Ancora oggi il numero totale di Tibetani in Cina non supera' i 7,5 milioni, in un paese di 1,4 miliardi di abitanti. L'altopiano Tibetano e' una terra arida ed inospitale, in cui si gela buona parte dell'anno e si vive ad altitudini dove gli esseri umani soffrono per la mancanza di ossigeno.

Secondo i libri di storia Cinesi, il Tibet e' dal medioevo una parte indivisibile della nazione Cinese. Secondo cio' che sostongono i fautori dell'indipendenza, il Tibet e' invece una nazione autonoma che e' stata invasa solo di recente dalla Cina. Come sempre, la realta' e' leggermente piu' complicata di come la presentano entrambi le parti.

A mio avviso, storicamente e' sensato vedere il Tibet come una nazione a se' stante. Si tratta di un territorio geograficamente separato dalla Cina vera e propria, con una cultura ed una lingua completamente diverse. Per la maggior parte della loro storia i Tibetani non hanno fatto parte dell'impero Cinese, e l'ideologia Confuciana non ha mai fatto presa in Tibet, la cui cultura e' invece incentrata sul Buddismo. Detto cio', ci sono anche regioni di confine in cui i Tibetani, i Cinesi Han ed altre etnie convivono da secoli.

E' interessante notare che i "pacifici" Tibetani irrompono nella storia dell'Asia nel settimo secolo come i conquistatori di un enorme impero Tibetano che andava dal Golfo del Bengala fino all'Asia Centrale, e duro' due secoli. Oggi sembra incredibile, ma nel 763 le forze Tibetane arrivarono persino ad espugnare la Capitale Cinese di Chang'An (la moderna Xian), restandoci quindici giorni ed installando un nuovo imperatore di loro piacimento.

Prima dell'epoca moderna, il Tibet vero e proprio ha fatto parte dell'impero Cinese durante due periodi: nel 1236-1354, sotto la dinastia Yuan, che pero' corrisponde al impero Mongolo, e sopratutto nel 1720-1911, sotto la dinastia Qing. I Cinesi asseriscono che anche durante la dinastia Ming (1368-1644) il Tibet appartenesse alla Cina, ma in genere gli studiosi neutrali ritengono che cio' non sia vero.

L’istituzione della figura del Dalai Lama risale al quattordicesimo secolo, ma il Dalai Lama divento’ la piu’ alta autorita’ sia spirituale che politica del Tibet solo nel diciasettesimo secolo. Il Dalai Lama e’ la figura cardine della scuola del Gelug, una delle scuole del Buddismo Tibetano. I Gelug conquistarono la supremazia in Tibet sotto il quinto Dalai Lama (1617-1682), grazie sopratutto all’appoggio dei Mongoli. Il titolo di Dalai Lama deriva dalla parola Mongola “Dalai” (oceano), e dalla parola Tibetana “Lama”, che significa maestro o guru.

Bisogna dire che anche sotto i Qing la dominazione Cinese del Tibet appariva spesso piu' teorica che reale, e la maggioranza dei Tibetani entrarono comunque poco in contatto con la cultura Cinese. Il Dalai Lama rimaneva in genere il vero capo supremo del Tibet, ma doveva porgere i suoi tributi all'imperatore di Pechino. Oggi c'e' molto dibattito su quale fosse lo status effettivo del Tibet all'epoca. Persino il fatto che il Dalai Lama si limitasse ad inchinarsi al cospetto dell’imperatore Cinese, piuttosto che eseguire il “kowtow”, e’ stato additato da alcuni come prova che il Tibet fosse uno stato vassallo piuttosto che una vera parte della Cina.


Il palazzo di Potala a Lhasa, ex-residenza del Dalai Lama e simbolo del Tibet

Dopo che l'irruzione delle navi, dei cannoni e dell'oppio degli Europei destabilizzo' la Cina nell'ottocento, il Tibet fini' nelle mire dei Britannici e dei Russi. I Britannici mandarono anche una spedizione armata a Lhasa nel 1904, e riuscirono ad estorcere una promessa dai Cinesi che il Tibet non avrebbe avuto relazioni con altre nazioni sovrane, ed un ingente riparazione di milioni di rupie da parte delle autorita' Tibetane.

I Tibetani approfittarono della rivoluzione repubblicana in Cina nel 1911 per cacciare i Cinesi ed assicurarsi l'indipendenza di fatto. Per i prossimi decenni, mentre la Cina era in preda alle guerre tra i signorotti locali, contro i Giapponesi e tra i Nazionalisti e i Comunisti, il Tibet rimase quasi completamente isolato dal mondo esterno. Nel 1950 il partito comunista, dopo aver preso il potere in Cina, mando' l'esercito in Tibet per "liberare" il territorio e ristabilire la sovranità Cinese.

Per i primi anni, il regime di Mao Zedong si comporto' in maniera prudente e moderata nei confronti del Tibet. Come avevano fatto gli imperatori Qing, anche il nuovo governo permise al quattordicesimo Dalai Lama (allora ragazzino) di rimanere in carica, e permise ai Tibetani di mantenere buona parte del loro sistema sociale intatto. Questo pero' si verifico' solo nella parte dell'altopiano designata come "regione autonoma Tibetana". Molte altre zone in cui storicamente vivevano i Tibetani furono incorporate nelle province di Qinghai e del Sichuan, ed in queste zone il governo mise in atto le sue radicali riforme e le ridistribuzioni della terra con la stessa violenza utilizzata nel resto della Cina.

La violenza con cui venne attaccato un sistema sociale millenario provoco' diverse ribellioni tra i Tibetani, che ricevettero un certo appoggio anche dalla CIA (cosa che al giorno d'oggi i Cinesi amano rimarcare). Nel 1959 una voce che voleva i Cinesi sul punto di rapire il Dalai Lama diedero il via ad un insurrezione generale a Lhasa (la citta' piu' grande) e nei dintorni. La rivolta fu' spezzata dall'esercito, il Dalai Lama scappo' in India a 24 anni insieme a buona parte dell'aristocrazia per non fare mai piu' ritorno, ed il governo Cinese prese direttamente in mano il controllo del Tibet.

Mentre il Dalai Lama ed altri esuli misero su' un "governo Tibetano in esilio" in India, in Tibet i Cinesi revocarono la maggior parte delle concessioni fatte, e misero la regione sotto controllo diretto. Come tutte le regioni della Cina, anche il Tibet soffri' terribili carestie durante il "Grande Balzo in Avanti", e distruzioni di monasteri e persecuzioni di religiosi da parte delle guardie rosse durante la Rivoluzione Culturale.  

Anche se dopo la morte di Mao le restrizioni sul culto e sulla vita privata sono state molto rilassate, come in tutta la Cina, il rapporto tra i Tibetani ed il potere centrale e' rimasto conflittuale. Seri disordini sono scoppiati a Lhasa sul finire degli anni ottanta, ed ancora nel 2008, poco prima delle olimpiadi, attirando l'attenzione del mondo intero. In entrambi i casi, le commemorazioni della rivolta del '59 sono state la miccia che ha fatto esplodere le proteste subito represse dall'esercito.

Intanto il Dalai Lama da molti anni continua ad affermare di essere disposto a negoziare con il governo Cinese, e di voler ottenere soltanto una maggiore autonomia per il Tibet, considerando irrealistica l’indipendenza totale. Tentativi di organizzare un negoziato tra le parti non hanno comunque portato a nulla.

La situazione di oggi

Non tutto quello che affermano i Cinesi sul Tibet e' inventato. Effettivamente il Tibet pre-annessione alla Cina Popolare non era certo il paradiso Buddista immaginato da molti. Si trattava di una societa' materialmente e socialmente arretrata, in cui perdurava un sistema di governo teocratico e semi-feudale opressivo per i nomadi ed i contadini. Superstizioni e modi di vivere secolari non erano stati minimamente scalfiti dall'avvento della modernita'.

Detto' cio', il Tibet dell'epoca non era neanche' l'inferno che ama descrivere la propaganda Cinese di oggi. Va' ricordato che vi erano gia’ stati dei veri tentativi di modernizzazione e di riforma nel primo ventesimo secolo, quando il tredicesimo Dalai Lama introdusse l’elettricità ed un minimo di istruzione laica a Lhasa ed aboli’ anche la pena di morte (rimasero pero' le terribili punizioni come l'amputazione e l'accecamento che i Cinesi amano usare come prova della barbarita' del vecchio Tibet).

Va' anche ricordato che storicamente molti conquistatori hanno utilizzato l'arretratezza dei popoli conquistati come giustificazione delle loro politiche. Anche se il Tibet pre-1950 aveva sicuramente un grande bisogno di riformarsi e modernizzarsi, e' da dubitare che molti Tibetani abbiano gioito per la maniera distruttiva ed insensata in cui la loro cultura venne attaccata durante il Maoismo, e sopratutto durante la rivoluzione culturale. 

Quello che invece va’ riconosciuto al governo Cinese e' di aver costruito una grande quantita' di infrastrutture moderne in Tibet, incluso la futuristica ferrovia che collega Pechino direttamente a Lhasa. Detto questo, l'altopiano rimane una delle regioni piu' povere della Cina, e nei villaggi molte cose non sono troppo cambiate da prima della “liberazione”. Sun Shuyun, una giornalista Pechinese, ha scritto un libro estremamente onesto ed illuminante sulla sua permanenza di un anno in un remoto villaggio Tibetano, dove molte donne sono ancora analfabete e preferiscono partorire in casa che in clinica, perche' nelle cliniche si trovano gli spettri di quelli che ci sono morti. Purtroppo il libro non e' stato tradotto in Italiano, ma qui trovate la versione Inglese.

Le affermazioni delle associazioni Tibetane in esilio e dei loro sostenitori riguardo ad un "genocidio culturale" messo in atto oggi dai Cinesi in Tibet sono decisamente esagerate e prive di senso. La verita' e' che in Tibet, come nelle altre "regioni autonome" della Cina, le autorita' concedono effettivamente un certo grado di rispetto alla lingua ed alla cultura locale. In Tibet le scuole elementari insegnano in Tibetano, mentre nelle medie ed i licei si passa gradualmente all'uso del Cinese.

Per quanto e' vero che per un Tibetano e' necessario conoscere il Cinese per trovare un lavoro di un certo livello, non si puo' dire che il governo Cinese stia cercando direttamente di sopprimere la lingua Tibetana, come hanno fatto in passato tanti stati Europei con i loro dialetti e lingue minoritarie. Al giorno d'oggi viene anche consentito ai Tibetani di seguire la propria religione e le proprie festivita' senza eccessive interferenze.


Un immagine moderna di Lhasa.

Quello che pero' molti Cinesi ignorano e' che i Tibetani soffrono anche di certe discriminazioni: ad esempio e' piu' difficile per un Tibetano ricevere un passaporto e viaggiare all'estero rispetto ad un cittadino Cinese di altra etnia (il governo teme che possano essere coinvolti in attivita' separatiste). Molti Tibetani lamentano anche di subire discriminazioni quando cercano lavoro. Per quanto il Tibet sia in teoria una regione autonoma, i posti piu' importanti nell'apparato statale sono occupati interamente da Cinesi Han. I Tibetani ricevono al massimo incarichi simbolici.

Una grossa fonte di scontento per i Tibetani e' rappresentata dall'immigrazione Cinese da altre regioni. Ci sono forti dibattiti sul numero effettivo di Cinesi Han stabilitisi in Tibet: il governo Cinese afferma che non superino il 10% della popolazione. I gruppi Tibetani in esilio invece sostengono che siano di gran lunga di piu'. Sicuramente a Lhasa gli Han sono ormai piu' dei Tibetani. Nel resto della regione invece i Tibetani sono ancora la maggioranza, probabilmente per via della remotezza dei centri abitati.

In genere gli immigrati Cinesi, per via del loro maggior livello di preparazione, tendono ad essere piu' ricchi dei Tibetani, e non sempre sono rispettosi della cultura locale, tacciando i "nativi" di essere pigri, arretrati e superstiziosi. Effettivamente i Tibetani tendono ad essere molto piu' focalizzati sul culto e molto meno sugli affari rispetto al Cinese tipico. La frustrazione contro l'immigrazione Cinese venne a galla durante i disordini del 2008, quando molti civili Cinesi Han o persino Musulmani Hui furono indistintamente attaccati dai manifestanti Tibetani, e a volte purtroppo uccisi. 

Qualsiasi tipo di attivismo politico Tibetano continua ad essere severamente represso. La venerazione del Dalai Lama e' ufficialmente bandita. Detto cio', quando visitai dei monasteri Tibetani nella provincia di Qinghai, vidi delle immagini del Dalai Lama appese sui muri e negli altari. Evidentemente le restrizioni sono solo teoriche, e nella pratica le autorita' preferiscono non calcare troppo la mano. Sicuramente il Dalai Lama rimane ancora l'oggetto di una reale devozione da parte di quasi tutti i Tibetani, per quanto i media Cinesi lo attacchino come "lupo travestito da agnello".

Capire quali sono le opinioni dei Tibetani comuni non e' facilissimo, siccome il governo Cinese non permette a studiosi stranieri di condurre serie ricerche in questo senso. Detto cio', appare chiaro che molti Tibetani continuano a vedere i Cinesi ed il governo centrale con sospetto e risentimento. Per questo motivo, il governo continua a reagire con la mano pesante a qualsiasi cosa percepisca come una sfida al suo potere. 

La situazione del Tibet non cambiera’ sicuramente di qui a poco, a meno di radicali sconvolgimenti nell’intera Cina. E’ impossibile immaginare che il partito al potere in Cina conceda l’indipendenza al Tibet, visto che buona parte della sua legittimita’ interna deriva dall’aver restaurato la dignita’ e l’unita’ della Cina, ed il separatismo rimane la sua bestia nera. I Tibetani sono pochi e non hanno nessuna possibilita’ di ribellarsi con successo. Eventuali pressioni internazionali (che nella realta’ sono quasi inesistenti) non cambieranno mai la situazione, anzi rischiano solo di rendere ancora piu’ intransigenti le posizioni dei Cinesi. 

E' probabile quindi che i sostenitori della "causa Tibetana" debbano rassegnarsi al fatto che, nel prossimo futuro, la situazione sul "tetto del mondo" non cambi granche'.

Thursday, April 16, 2015

La politica del figlio unico: mito e realtà

La cosidetta "politica del figlio unico" e' uno degli aspetti piu' idiosincratici del sistema Cinese, ed uno di quelli che piu' ha colpito l'immaginazione del pubblico Occidentale. Non e' difficile capirne il perche': non esiste nessun altro paese al mondo che faccia tanti sforzi per controllare quanti figli facciano i propri cittadini.

Come quasi tutte le questioni che riguardano la Cina, in Italia questa politica e' stata e rimane l'oggetto di numerosi miti ed esagerazioni frutto di una informazione superficiale e sensazionalista. Tanto per fare l'esempio piu' recente, nel 2013 buona parte dei media italiani hanno riportato la notizia del "abolizione della politica del figlio unico" (vedere ad esempio qui), quando in realta' c'e' stata una semplice attenuazione delle regole.

Chiariamo alcuni punti:

1) In Cina non si parla mai della "politica del figlio unico", ma della "politica di pianificazione delle nascite" (计划生育政策 in Cinese). Se parlate della politica del figlio unico in Cina, forse non sapranno di cosa state parlando.

2) Questa politica (che esiste dai primi anni ottanta) non ha mai predisposto che tutti i Cinesi, nessuno escluso, potessero avere un unico figlio. Innanzitutto le minoranze etniche, che compongono il 10% della popolazione ed includono i Tibetani, non devono sottostare a nessun controllo sulle loro nascite. Si tratta di una delle varie agevolazioni concesse agli appartenenti alle minoranze, in un tentativo di prevenirne lo scontento.

Un altro punto importante e' che fino al 2013, alle coppie composte da due figli unici veniva concesso di fare due figli. Nel Novembre 2013 questo diritto e' stato esteso alle coppie in cui anche uno solo dei due sia figlio o figlia unica. Questo ha poi dato lo spunto perche' i media italiani raccontassero con una enorme semplificazione che la politica del figlio unico era stata abolita.

3) La politica di controllo delle nascite non e' mai stata applicata con la severita' che molti immaginano. Secondo la politica ufficiale, le coppie che oltrepassano il numero di figli consentito vengono punite con una multa (che puo' essere anche abbastanza grande in confronto al reddito medio). Anche se ci sono stati casi effettivi e conprovati di aborti e sterilizzazzioni forzate, casi simili non sono la norma ed avvengono solo in zone rurali o remote, dove i governanti locali usano questi metodi per assicurarsi di rientare nelle "quote" di nascite che il governo centrale gli impone.

Nel 2002 l'uso della forza per costringere le donne ad abortire e' stato anzi esplicitamente proibito. E' vero che il governo centrale puo' e deve essere criticato per non aver fatto abbastanza per far cessare queste abberrazioni. E' anche vero che una parte della responsabilita' va addebbitata al sistema Cinese di imporre delle "quote" ai governi locali in tutti i campi, dalla crescita del PIL fino alla riduzione delle nascite, senza poi farsi troppi problemi riguardo ai metodi utilizzati per raggiungere l'obiettivo. Detto cio' non e' veritiero dire che la limitazione delle nascite, in generale, viene ottenuta con la forza bruta.

4) La cosidetta politica del figlio unico e' sempre stata evasa da un grande numero di Cinesi. Se cosi' non fosse, non si spiegherebbe come la popolazione abbia potuto continuare ad aumentare nei trenta e piu' anni dalla sua introduzione (la popolazione Cinese e' cresciuta da un miliardo circa nel 1980 a quasi un miliardo e quattro al giorno d'oggi). Secondo l'ONU, il tasso di nascite in Cina (1.66) rimane ancora oggi piu' alto che in Italia (1.48).

La situazione varia molto a secondo della zona. In generale nelle zone rurali molte famiglie fanno piu' di un figlio e pagano le relative multe. Io personalmente conosco diversi Cinesi giovani che provengono da zone rurali, e nessuno di loro e' figlio unico. Nelle zone urbane la maggior parte delle famiglie rispetta la legge, ma esiste anche un fenomeno diffuso di coppie molto ricche che fanno piu' di un figlio, siccome per loro le multe sono irrisorie.

5) Il successo della politica del figlio unico nel frenare la crescita' della popolazione e' molto dibattuto. Anche se le statistiche Cinesi sono di dubbio valore, appare chiaro che il numero medio di figli per donna stesse gia' diminuendo in Cina negli anni settanta, prima che questa politica entrasse in vigore. Che il tasso di nascite sia continuato a declinare dagli anni ottanta in poi e' sicuro, ma e' ovvio che una diminuzione sarebbe avvenuta comunque per via dell'aumento della ricchezza e del tasso di istruzione, cosi' come e' avvenuto in tanti altri paesi.

6) Un altro tema molto conosciuto in Occidente e' quello delle uccisioni delle figlie femmine in Cina, e della sproporzione dei sessi che ne risulta. Anche qui, le esagerazioni rimangono la norma. Effettivamente nelle zone rurali Cinesi c'e' una preferenza per i figli maschi, visto che secondo la tradizione dopo il matrimonio sono loro a restare con i genitori e portare avanti il nome della famiglia, ed inoltre sono piu' adatti a fare lavori fisici.

E' vero che si sono registrati in passato casi di uccisioni o abbandoni di neonate, ma oggi il problema piu' diffuso sono gli aborti selettivi delle femmine. Per questo motivo il governo ha proibito ai medici di far sapere in anticipo alle madri il sesso del feto. Pare pero' che molti medici siano ancora disposti a farlo sottobanco.

Non e' pero' certo che questi gesti censurabili siano dovuti solo alla politica di controllo delle nascite. Aborti selettivi ed infanticidi avvengono anche in altri paesi Asiatici come l'India di adesso o la Corea di qualche decennio fa', senza che ci sia nessuna politica del figlio unico. In certe zone rurali il governo Cinese ha comunque gia' permesso a chi ha una prima figlia femmina di avere un altro figlio (si spera maschio!), appunto per impedire che avvengano queste cose.

Che poi in Cina ci siano piu' maschi che femmine e' vero, ma non e' un problema serio quanto spesso riportato. Secondo il censimento del 2010, i maschi sono il 51.27% della popolazione. Chi vive in Cina, come me, non nota assolutamente una evidente sproporzione in favore dei maschi, e non e' una cosa di cui i Cinesi si preoccupino particolarmente (certo, molti Cinesi non si preoccurebbero neanche' se il cielo stesse per cadergli sulla testa...).

Un vecchio manifesto propagandistico Cinese. C'e' scritto, piu' o meno: "sposatevi tardi e fate figli tardi. Fate pochi figli, e fateli buoni".

Sono ormai anni che il governo Cinese parla di allentare o addirittura abolire le leggi che controllano le nascite, visto che ormai l'invecchiamento della popolazione preoccupa piu' della sua crescita'. La nuova regola del 2013 rappresenta un passo importante, visto che ora quasi tutte le coppie giovani delle zone urbane potranno fare due figli (sono ben poche le coppie giovani in cui almeno uno dei due non sia figlio unico).

Detto tutto questo, la politica di controllo delle nascite rimane in vigore e molti Cinesi si scontrano ancora con questa limitazione alla loro liberta' di scelta. Per fare un esempio, una mia amica Cinese (che e' laureata ed insegna Inglese in un asilo) proviene da una zona rurale appena fuori Pechino ed e' la seconda di tre figli. Suo marito ha anche lui fratelli e sorelle. Di recente questa ragazza e' rimasta incinta per la seconda volta senza volerlo, ma siccome la coppia non e' eleggibile per avere un secondo figlio, ha scelto di abortire controvoglia piuttosto che pagare una multa molto onerosa. L'ultima volta che l'ho vista, mi ha raccontato questo fatto con quel tipico atteggiamento Cinese di rancore misto a rassegnazione.    

Wednesday, April 15, 2015

La Cina tra mito e realta'

Ormai da anni, la Cina sembra essere sulla bocca di tutti. La nuova superpotenza, la fabbrica del mondo, il paese che inonda il pianeta di prodotti economici e dei suoi laboriosi cittadini. Allo stesso tempo, nel mondo Occidentale questo immenso paese era e rimane una fucina di miti, incomprensioni, mezze verità e mistificazioni. I decenni di contatti e di scambi seguiti all'"apertura" di Deng Xiaoping non hanno particolarmente migliorato la comprensione reciproca.

Di questa situazione hanno colpa prima di tutto gli Occidentali, che fanno troppo presto a proiettare i propri pregiudizi, timori, desideri e speranze sulla Cina senza sapere troppo bene di cosa stanno parlando. E questo vale anche per molti esperti o presunti tali che hanno vissuto in Cina. Una parte della responsabilità pero' e' anche del sistema Cinese, che rimanendo opaco, chiuso ed autoritario tende a creare una situazione dove capire come funziona davvero questo paese diventa un compito arduo, e le semplificazioni e le mistificazioni rimangono all'ordine del giorno.

Se una vera comprensione della societa', dell'economia e della politica Cinesi scarseggia in tutto il mondo Occidentale, in Italia la situazione e' ancora piu' grave che nei paesi Anglosassoni. Nel mondo dei media e dell'editoria Italiana quando si parla della Cina il pressappochismo e la mitizzazzione rimangono la norma. Tiziano Terzani rimane forse l'unico autore italiano ad aver conosciuto veramente la Cina e ad averla saputa descrivere in modo autentico ed anche impietoso. Il suo libro "La Porta Proibita" rimane un capolavoro in questo senso. Purtroppo pero' Terzani e' gia' morto da un pezzo.

In genere in Italia la Cina viene descritta o secondo lo stereotipo della feroce dittatura piena di "schiavi" super-sfruttati che producono merci scadenti, di esecuzioni e di aborti forzati, oppure secondo quell'altro stereotipo della nuova superpotenza giovane e dinamica rappresentata dai grattacieli luccicanti di Shanghai, pronta a sostituire gli USA come prima potenza mondiale. La verità e' che nessuna di queste enormi semplificazioni aiuta granché a capire cos'e' la Cina di oggi. 

Un esempio estremo di questa informazione generica e propagandistica sulla Cina lo ha fornito il monologo televisivo di Roberto Saviano del 2012 sui "laogai" (campi di lavori forzati Cinesi). Saviano descrive il sistema dei laogai in termini che semplicemente non hanno nulla a che vedere con la Cina di oggi, ma con quella di quarant'anni fa': “in un laogai in Cina ci finisce chiunque è contro l'ideologia comunista, chiunque decida di essere religioso, nei laogai si finisce se sei un imprenditore, se sei un controrivoluzionario di destra, se sei anche una persona che ha deciso di infrangere la regola del figlio unico”.
 
Cioè, in Cina essere imprenditori significa finire ai lavori forzati? Ma c'e' qualcuno che ancora crede che la Cina funzioni cosi'? A proposito, in Cina il reato di "attività controrivoluzionaria" non esiste più dagli anni novanta, e le infrazioni della politica del figlio unico sono punite in genere con una multa. Io sono il primo a condannare la mancanza di diritti reali per chi vive in Cina, ma e' importante rimanere obbiettivi ed attenersi ai fatti, senno' si finisce solo col acuire le incomprensioni reciproche.

Questo blog si ripropone di offrire una visione della Cina libera da stereotipi e preconcetti, che sappia raccontare il paese per quello che e' veramente, con tutti i suoi pregi, contraddizioni e non pochi difetti. E lo farà attraverso gli occhi di un (mezzo) Italiano che vive in Cina da parecchio, parla Cinese e si illude di conoscere un po' questo paese.