Saturday, April 16, 2016

La democrazia è adatta alla Cina?

Un'immagine di Eric X. Li

Un paio di anni fa' fece parecchio scalpore il "TED talk" di Eric X. Li, intitolato "Una Storia di due Sistemi Politici", in cui il sistema politico Cinese viene difeso come un alternativa valida al sistema liberal-democratico Occidentale. Gia' nel 2012, Li aveva attirato una certa attenzione con il suo articolo pubblicato dal New York Times, intitolato con poca fantasia "Perche' il Sistema Politico Cinese e' Superiore".

Eric X. Li e' un investitore ed affarista di Shanghai, attivo nel settore del venture capital. Educato negli Stati Uniti, a Berkley ed a Stanford, Li siede anche nel comitato direttivo del China Europe International Business School di Shanghai. Negli ultimi anni si e' guadagnato una certa notorietà come uno degli apologeti più presentabili ed eloquenti del sistema politico Cinese. Con il suo Inglese impeccabile, la sua conoscenza della cultura Occidentale ed il suo modo di argomentare scherzoso e convincente, Li costituisce una figura decisamente diversa da quella del grigio burocrate Cinese che ripete slogan governativi.

Riassumendo le sue argomentazioni, il businessman di Shanghai afferma in sostanza che non esiste un unico modello di governo valido per tutte le società: la democrazia pluripartitica non sara' mai adatta alla Cina, che avrebbe gia' trovato un sistema alternativo molto più valido per le sue esigenze: il sistema a partito unico sotto la guida del Partito Comunista Cinese.

Secondo Li, il Partito avrebbe gia' ampiamente dimostrato di essere capace di guidare la Cina. La legittimità del suo potere deriverebbe dalla sua dimostrata efficienza nel governare la nazione. Per capirlo basterebbe paragonare la Cina nel 1949, l'anno in cui Mao Zedong prese il potere, con la Cina di oggi: la prima era un paese povero e vessato dalle potenze straniere, la seconda e' invece una superpotenza, che ha accumulato decenni di crescita' economica. Come rimarca Li, dal 1949 fino ad oggi la durata della vita media dei Cinesi e' aumentata da 41 fino a 74 anni.

Li sostiene anche che il Partito Comunista, a dispetto dei pregiudizi Occidentali, sarebbe capacissimo di correggere i propri errori e di migliorare le proprie politiche, come avrebbe gia' dimostrato negli anni ottanta con le riforme di Deng Xiaoping, che hanno trasformato il paese in una sorta di libero mercato. Inoltre il partito non manca di sostegno popolare. Li cita certi sondaggi di opinione condotti in Cina che dimostrerebbero tassi di gradimento per il governo di oltre l'80%.

Come fanno anche molti apologeti stranieri del sistema Cinese (ad esempio David Bell e Martin Jacques), Li afferma che il sistema Cinese costituirebbe una meritocrazia, in cui il partito seleziona i suoi alti dirigenti in base al merito, mentre le democrazie producono leader populisti ed incapaci di vedere al di la' della prossima tornata elettorale. Pur ammettendo che nel suo paese la corruzione dilaga, Li afferma che dopotutto le democrazie non sono necessariamente meno corrotte. Paesi democratici come l'India, l'Argentina e le Filippine sarebbero ancora piu' corrotti, secondo le classifiche di Transparency International.

Secondo Li la convinzione Occidentale che la democrazia liberale rappresenti la meta di arrivo finale per tutte le società sarebbe una forma di ottusità ideologica, simile a quella dei Marxisti che credono nel comunismo come ultimo stadio di sviluppo per l'intera l'umanità. Inoltre la crisi finanziaria del 2008 avrebbe messo in evidenza tutte le crepe del sistema democratico negli Stati Uniti ed in Europa.

In realtà le posizioni di Eric X. Li non costituiscono nulla di nuovo per chi si occupa di Cina. Le stesse argomentazioni, in forma un'po' modificata, si possono trovare facilmente sulle pagine della stampa Cinese. Prima pero' nessuno era stato capace di esporle in maniera cosi' chiara ad un pubblico Occidentale, ottenendo cosi' tanto risalto.

Ovviamente alcune delle cose dette da Li hanno il loro fondamento. E' sicuramente vero che il sistema Cinese rappresenta un anomalia nel mondo di oggi, nel senso che si tratta di un paese relativamente prospero e moderno, retto da un sistema politico completamente autoritario. Anche se la Cina non e' certo l'unico paese non-democratico rimasto al mondo, gli altri sono in genere molto piu' poveri ed arretrati, oppure arricchitisi solo grazie al petrolio (vedasi l'Arabia Saudita).

E' anche vero che il Partito Comunista Cinese e' riuscito a costruire un sistema non-democratico abbastanza stabile, in cui i leader non rimangono al potere fino alla morte e non tramandano il potere ai propri figli, ma vengono ruotati ogni dieci anni. Questo sistema fino ad ora non ha ostacolato di certo la crescita' economica, come gli ultimi decenni hanno reso ben chiaro. Inoltre il sistema ha saputo conquistarsi un certo consenso tra i Cinesi, e soprattutto quelli delle classi piu' colte ed agiate (come lo stesso Li), il che permette al Partito di mantenere il potere senza evidenti dimostrazioni di forza e di repressione (se escludiamo le regioni come il Tibet dove operano movimenti separatisti, ma si tratta di un discorso a parte). Le classi sociali piu' scontente, come i poveri contadini che emigrano nelle grandi citta', hanno poche possibilita' di far sentire la loro voce.

Le argomentazioni di Li meritano quindi di essere prese con serietà, se non altro per essere smontate. Personalmente avrei parecchie obiezioni da muovere al suo discorso. Innanzitutto, i sondaggi di opinione Cinesi riguardo ai tassi di gradimento del governo vanno presi con molta cautela. Ma se anche dessimo per buone le statistiche di Li sulla percentuale di Cinesi che sostiene il governo, ci sarebbero altre domande da porsi. La legittimità di un governo deriva solo dalla sua popolarità? Ricordiamoci che anche i crudeli leader ereditari della Corea del Nord godono di una popolarità effettiva tra la loro gente. Quando un governo controlla completamente tutti i mezzi di informazione, e la maggior parte della popolazione ha pochi contatti con il mondo esterno (come avviene anche in Cina), e' forse sorprendente che il suddetto governo sia popolare?

Ricordiamoci che il governo Cinese dispone di un enorme apparato propagandistico, che si esprime sia attraverso i programmi scolastici che i media, per imporre il proprio punto di vista su tutta la società Cinese. Il lavaggio del cervello parte dalle scuole, dove gli studenti vengono educati ad un patriottismo esasperato, che finisce poi col tramutarsi in sostegno al governo in carica.

Ai Cinesi viene inculcato fin dall'infanzia che la Cina era un tempo un grande paese, distrutto solo dalle invasioni degli odiati aggressori stranieri, soprattutto Occidentali e Giapponesi. Poi nel 1949 il Partito Comunista avrebbe cacciato gli stranieri e creato la "Nuova Cina", portando finalmente a termine il "secolo di umiliazioni" subito dal paese. Ancora adesso le "potenze straniere" minaccerebbero la Cina, e soltanto il Partito difenderebbe i Cinesi da un mondo ostile. Diffondere qualsiasi versione alternativa della storia nazionale e' vietato, e chi ci prova corre dei rischi reali.

Uscita fuori dal sistema scolastico Cinese, buona parte della popolazione condivide effettivamente certi atteggiamenti che si traducono poi in sostegno al sistema vigente: quello che piu' conta e' che venga ripristinato l'orgoglio nazionale della Cina, che la Cina ridiventi forte e rispettata, e che non venga mai piu' sottomessa da altri paesi. Questo obiettivo viene visto da molti Cinesi come la priorità nazionale, davanti alla quale la necessita' di rendere piu' comoda e degna la vita della popolazione passa in secondo piano. Anche se la storia e la cultura Cinesi hanno contribuito a creare questa mentalità, il controllo dei media e dell'istruzione da parte del partito gioca sicuramente la sua parte.

Aldilà della popolarità del governo in carica, ci sarebbe un discorso serio da fare circa l'effettiva efficacia del sistema politico Cinese. E' probabilmente vero che il sistema autoritario ha garantito la crescita' economica quando la Cina era un paese povero, che doveva partire da zero. Pero' adesso che la Cina e' diventato un paese "middle income", a reddito medio, come lo definisce la Banca Mondiale, le cose sono cambiate. Da paese produttore di merci a basso costo, la Cina deve trasformarsi in un paese che produce innovazione, che crea grandi marchi, che crea crescita' grazie ad un forte consumo interno.

Gli stessi governanti Cinesi riconoscono queste necessita', ma nella pratica e' lecito avere dubbi sulla loro capacita' di realizzare questi cambiamenti. Nonostante gli enormi investimenti fatti nel campo della ricerca e dell'innovazione, i risultati stentano ad arrivare. La verità e' che il sistema sociale e politico Cinese non stimola la creatività e l'innovazione, ma anzi finisce col soffocarle. Perche' la situazione cambi servirebbe un sistema legale che valga per tutti allo stesso modo e che protegga meglio il diritto alla proprietà intellettuale, ed un allentamento dei severi controlli su ogni tipo di espressione giornalistica, artistica, accademica e religiosa. Questi controlli, realizzati con la motivazione di "mantenere la stabilita'", finiscono col stultificare la popolazione e frenare la crescita' intellettuale e culturale del paese.

Gli ideologi del governo sostengono che la popolazione Cinese non disponga della maturità necessaria per poter vivere in un sistema democratico e disporre di un flusso di informazioni incensurate. In un paese grande e relativamente arretrato come la Cina, un sistema democratico sarebbe impossibile da mettere in pratica senza che ci sia un collasso generale. Effettivamente quando i Cinesi hanno l'opportunità di dibattere i loro problemi in un contesto semi-libero come quello dei social network Cinesi, il risultato non e' entusiasmante. Viene da chiedersi pero' se questa non sia anche la conseguenza del sistema in cui crescono e vivono. Non abituati al dibattito ed al confronto, molti Cinesi si trovano poi incapaci di confrontarsi in maniera civile.

Li ama affermare che tutti i paesi dell'Asia Orientale si sono modernizzati quando erano sotto la guida di partiti unici. Questa affermazione risulta veritiera per quanto riguarda paesi come la Corea del Sud o Taiwan (anche se non il Giappone), pero' il capitalista di Shanghai evita di ricordare che entrambi questi paesi si sono democratizzati negli anni ottanta, quando non erano tanto dissimili dalla Cina di oggi.

Effettivamente sarebbe illusorio vedere i Cinesi come una massa oppressa che subiscono una dittatura dalla quale sognano di liberarsi, come fanno molti Occidentali. Il sistema politico Cinese preserva una certa legittimità agli occhi del suo popolo, grazie al suo successo nel preservare la stabilita' del paese, la sua capacita' di far crescere l'economia per molti anni, la sua protezione di un buon grado di liberta' nell'ambito privato dei cittadini, e la percezione che essa sia riuscita' a riscattare l'onore della Cina nel mondo.

La relativa popolarità del governo Cinese e la sua efficienza in certi ambiti non deve pero' renderci ciechi agli effetti negativi del suo sistema autoritario: finche' non ci saranno delle vere riforme politiche la Cina rimarrà un gigante economico, ma un deserto nel campo della cultura e dell'innovazione. L'ideologia nazionalista che il regime usa per legittimarsi finisce poi col guastare il rapporto della Cina con i paesi vicini e rende la società Cinese piu' chiusa e conformista. E la mancanza di una vera protezione dei diritti del cittadino continua a far male alla popolazione.

Saturday, April 2, 2016

Media cinesi: non festeggiate il primo aprile degli occidentali.

I media governativi cinesi non hanno mai brillato per senso dell'umorismo. Questa volta, pero', si sono superati. L'agenzia di stampa ufficiale del governo Cinese, Xinhua, ha ufficialmente invitato i cinesi a non prendere parte alla tradizione Occidentale del "pesce d'aprile".

Un messaggio e' apparso ieri mattina sulla pagina Weibo ufficiale di Xinhua, con le seguenti parole: "Oggi e' il cosiddetto "giorno del pesce d'aprile" Occidentale. Il pesce d'aprile non e' in linea con la tradizione culturale del nostro paese e con i valori fondamentali del socialismo. Siete pregati di non credere, creare o diffondere notizie inventate."

L'espressione usata per definire il primo aprile, 愚人节 (yu ren jie, "la festa degli scemi"), riporta all'Inglese April Fool's Day. Le "notizie inventate" si riferiscono alle notizie volutamente assurde diffuse per scherzo in occasione di ogni primo aprile. 

Nel giro di ore, sotto il messaggio sono apparsi migliaia di commenti satirici di cinesi che prendevano in giro la "direttiva":

"Questo e' il miglior pesce d'aprile mai visto".

"In Cina, ogni giorno e' il primo aprile".

"In Occidente, succede solo un giorno all'anno. In certi paesi Asiatici, ogni giorno di ogni anno e' cosi'".

"I media pubblicano notizie false per ingannare la gente ogni singolo giorno, un giorno in più che differenza fa'?"

Alla fine, la Xinhua ha deciso di chiudere la sezione commenti sotto il post.

E' gia' successo in passato che i media cinesi abbiano dato per vere delle notizie scherzose diffuse in occasione del primo aprile. Nel 2013, la CCTV (la televisione di stato cinese) diffuse in tutta serietà la notizia che la Virgin stava per uscirsene con una linea di aerei con il fondale di vetro, per permettere ai passeggeri di ammirare il paesaggio. Peccato che l'annuncio di Richard Branson risalisse al primo aprile.


Tuesday, January 26, 2016

La questione di Taiwan

L'elezione di Tsai Ing-wen a presidentessa di Taiwan rappresenta senza dubbio un fatto storico, essendo la prima volta da secoli che una donna conquista il potere in una qualsiasi società composta da Cinesi. L'ultima volta che la Cina ebbe una imperatrice donna fu nel caso di Wu Zetian, nel settimo secolo dopo cristo. Da allora in poi, si sono susseguiti soltanto uomini al comando. Nel ventesimo secolo questa tradizione non e' cambiata, e sia la Repubblica di Cina che la Repubblica Popolare Cinese sono state guidate sempre e solo da uomini. Nonostante il fatto che la società Cinese non sia una delle più maschiliste, tutto sommato, le donne continuano a faticare ad entrare in politica. Adesso pero', Taiwan ha per la prima volta una presidentessa.

Tsai Ing-Wen, nuovo leader di Taiwan

Aldilà di questo, l'elezione di Ing-wen ha riportato all'attenzione del mondo l'annosa questione di Taiwan, un isola che resta lo "stato non riconosciuto" più grande al mondo. Si tratta di una questione che di solito viene abbastanza ignorata in Europa, ma che resta un serio problema internazionale che potrebbe portare a futuri scontri tra la Cina e gli Stati Uniti.

La contesa geopolitica che ruota intorno a quest'isola e' molto più complicata di quello che potrebbe sembrare. Molti sanno che Taiwan si separo' dalla Cina nel 1949, quando Mao Zedong sconfisse il partito Nazionalista ("Guomindang") guidato da Chiang Kai-Shek, e gli sconfitti si rifugiarono su Taiwan. Pochi invece sono consapevoli della storia precedente dell'isola e delle sue divisioni interne, e di come esse ne influenzino il rapporto con la Cina.

La Storia


Taiwan e' un isola grande quanto il Belgio, divisa dalla Cina continentale da uno stretto di mare largo 130 chilometri nel punto più stretto. Una distanza inferiore ai 150 chilometri che dividono Cuba dalla Florida. Gli abitanti originari di Taiwan non erano affatto Cinesi, ma quelli che oggi si chiamano aborigeni Taiwanesi: popolazioni primitive simili per lingua e cultura ai popoli delle Filippine e del Pacifico.

I Cinesi incominciarono ad interessarsi a Taiwan nel tredicesimo secolo, ma non vi si stabilirono in massa, anche per via dell'ostilità degli indigeni e della sua mancanza di risorse. Nel sedicesimo secolo l'isola fu' conquistata dagli Olandesi, che la resero una colonia. Ironicamente, furono loro a cominciare ad importare manodopera Cinese dal continente.

Nel 1661, l'eroe nazionale Coxinga (una figura oggi venerata sia dai nazionalisti Cinesi che dagli indipendentisti Taiwanesi) libero' Taiwan dagli Olandesi. Coxinga non era affatto un Taiwanese, ma un Cinese continentale che voleva usare Taiwan come base dalla quale liberare tutta la Cina dalla dinastia Manchu' dei Qing, e ripristinare la dinastia Ming. Un presagio quindi di quello che si sarebbe verificato nel ventesimo secolo.

Dopo qualche anno Taiwan fini' sotto il controllo dei Qing, e fu' governata da Pechino dal 1683 al 1885. Questi duecento anni rimangono gli unici in tutta la storia in cui Taiwan sia stata governata direttamente dal governo centrale Cinese (apparte i quattro anni dal 1945 al 1949). Durante questa epoca ci fu una massiccia immigrazione Cinese, e gli aborigeni furono Cinesizzati oppure si rifugiarono nelle montagne.

Nel 1885, i Giapponesi conquistarono Taiwan durante la loro guerra di aggressione al debole impero Manchu' ormai avviato verso il tramonto. La colonizzazione Giapponese duro' fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando l'impero del sol levante fu' sconfitto e costretto ad abbandonare tutte le sue colonie. Durante la loro lunga dominazione, i Giapponesi tentarono di trasformare Taiwan in una colonia modello, dando grande impulso all'industria, ma allo stesso tempo costrinsero tutti i Taiwanesi a studiare esclusivamente in lingua Giapponese, tentando di cambiare la cultura locale. Al giorno d'oggi i Taiwanesi, in genere, non hanno un cattivo ricordo della dominazione Giapponese, in netto contrasto con i Cinesi continentali (ed i Coreani). Questo contribuisce ad allargare il divario tra la memoria storica delle due parti.

Dopo la fine della guerra, Taiwan passo' sotto il controllo della Repubblica Cinese di Chiang Kai-Shek, e quando quest'ultimo perse la guerra civile contro Mao Zedong quattro anni più tardi, gli sconfitti del Guomindang pensarono bene di asserragliarsi sull'isola. Un gran numero di soldati del Guomindang scapparono a Taiwan con le loro famiglie. In tutto vi fu' un influsso di due milioni di persone. Queste persone rimasero in disparte dai sei milioni di Cinesi nativi dell'isola, che per la maggior parte viveva sull'isola gia' da generazioni, e parlavano il dialetto Cinese del Fujian, la provincia Cinese che si affaccia su Taiwan. Buona parte dei nativi non vedeva di buon occhio questi nuovi arrivati, e considerava i nuovi governanti alla stregua di invasori stranieri.

Per i prossimi decenni Chiang Kai-Shek governo' Taiwan con il pugno di ferro. Insistendo che la sua ritirata' sull'isola era solo temporanea e che un giorno il Guomindang si sarebbe ripresa tutta la Cina dai banditi comunisti, il vecchio leader non permise nessun tipo di protesta da parte della popolazione. La legge marziale, stabilita nel 1949, fu' sollevata soltanto nel 1987. Questo periodo viene ricordato a Taiwan come il "terrore bianco", durante la quale migliaia di intellettuali ed altri cittadini furono imprigionati, ed alcuni addirittura fucilati, per reati politici. Nel frattempo Taiwan continuo' ad occupare il seggio della Cina all'ONU fino al 1971, ed ha riceve il sostegno Americano ed Occidentale.

Dopo la morte di Chiang Kai-Shek nel 1975, gli successe suo figlio, che inizio' ad allentare la presa del potere. Negli anni ottanta la popolazione inizio' a manifestare apertamente in favore della democrazia, e le loro istanze furono lentamente accolte, con la fine della legge marziale e la legalizzazione dei partiti di opposizione. Nel 1996 accaddero le prime elezioni presidenziali, e la Cina manifesto' il suo dispiacere mandando delle navi da guerra a fare esercitazioni a ridosso della costa Taiwanese, provocando una forte reazione Americana. Nel 2000 per la prima volta vinse le elezioni il Partito Democratico Progressista (DPP dalla sigla Inglese), il partito nato dai movimenti democratici degli anni ottanta. Nel 2008 il Guomindang riprese il potere con Ma Ying-Jeou, e lo ha mantenuto fino alle elezioni di qualche giorno fa'.

Un'immagine di Taipei

Cinesi o no? Come cambia l'identità dei Taiwanesi


Dietro ai risultati delle ultime elezioni si nascondono cambiamenti epocali nel senso di identità della società Taiwanese. Per capire questi cambiamenti, bisogna capire il innanzitutto le complicate distinzioni etniche interne all'isola. I discendenti dei Cinesi arrivati al seguito di Chiang Kai Shek nel '49 rappresentano circa il 15% dei Taiwanesi. Il 70% e' composto di Hoklo, Cinesi i cui antenati arrivarono per la maggior parte dalla vicina provincia di Fujian qualche secolo fa'. C'e' poi anche una comunità di Cinesi Hakka originari del Guangdong (circa il 15%), e piccoli gruppi residui di aborigeni Taiwanesi, che conservano lingue ed usanze diverse dai Cinesi.

Durante i decenni della dittatura, il Guomindang diffuse l'idea che vi era una sola Cina, e che tutti i Taiwanesi erano i protettori della vera cultura Cinese che i comunisti di Mao stavano distruggendo nella Cina continentale. La popolazione veniva incoraggiata a sentirsi fiera della storia e della cultura di tutta la Cina. Oggi pero' si sta' diffondendo l'idea che l'identità Taiwanese sia un'altra cosa da quella Cinese. Secondo questa nuova visione, Taiwan sarebbe storicamente una terra a parte, con un identità separata formatosi in parte durante la lunga dominazione Giapponese. I Taiwanesi sarebbero Cinesi solo nella stessa misura in cui gli Americani possono dirsi Inglesi, secondo un paragone molto in voga.

Questa visione si e' diffusa inizialmente soprattutto tra i Cinesi Hoklo. Di pari passo si e' sviluppato un nuovo entusiasmo per la lingua Taiwanese, cioè il dialetto di Fujian parlato ancora oggi dagli Hoklo. Durante la dittatura tutti i Taiwanesi erano obbligati a parlare solo Cinese Mandarino nelle scuole e negli uffici, e tutti i media erano unicamente in Mandarino. Dagli anni novanta in poi c'e' stato un grande revival del Taiwanese, ed ormai sono molteplici le stazioni televisive che lo utilizzano. I Cinesi arrivati nel '49 (che parlano Mandarino) ed anche gli Hakka (che parlano una propria varietà del Cinese) continuano per lo più a sentirsi Cinesi, e a votare per il Guomindang. Detto cio', l'identità Taiwanese e' ormai la più forte fra i giovani di tutte le etnie.

Il Partito Democratico Progressista, a cui appartiene la presidentessa neo-eletta, rappresenta in genere il punto di vista secondo cui l'identità Taiwanese e' distinta da quella Cinese. La maggior parte dei suoi sostenitori non vuole preservare l'idea di una "riunificazione" neanche' per un ipotetico futuro lontano, in cui magari la Cina si sara' democratizzata. Per questo motivo si tratta di un partito assolutamente inviso a Pechino, che ormai preferisce di gran lunga gli ex-nemici del Guomindang, che almeno sono d'accordo sul fatto di essere anche loro Cinesi.

Taipei e Pechino: un rapporto delicato


La questione che più grava e' quella dello status futuro dell'isola. Taiwan continua a chiamarsi ufficialmente "la Repubblica di Cina", utilizzando la vecchia bandiera della Cina pre-Maoista. Siccome entrambi le parti concordano che c'e' una sola Cina, gli altri paesi si trovano nella posizione di dover scegliere se intrattenere rapporti diplomatici con la Cina Popolare o con Taiwan. Naturalmente la stragrande maggioranza dei paesi adesso sceglie la Cina, lasciando Taiwan in un limbo diplomatico. Uno dei pochi paesi che continua ad avere l'ambasciata a Taiwan e' il Vaticano, che da sempre ha pessimi rapporti con Pechino.

Buona parte dei Taiwanesi preferirebbe che Taiwan dichiarasse ufficialmente l'indipendenza ed abbandonasse il nome di Repubblica di Cina, chiamandosi semplicemente Taiwan. Il problema pero' e' che per Pechino l'indipendenza ufficiale di Taiwan rimane una bestia nera. Se la maggior parte dei Taiwanesi sostiene il mantenimento dello status quo e' perche' ha paura di una reazione militare da parte della Cina. Se non fosse per questo motivo, si può supporre che Taiwan avrebbe gia' dichiarato la propria indipendenza formale da diversi anni.

Puo' sembrare strano che il governo Cinese preferisca la situazione attuale, in cui Taiwan continua a costituire una specie di Cina "rivale", piuttosto che una situazione in cui Taiwan abbandoni completamente qualsiasi pretesa di rappresentare la Cina. Per chi conosce l'ideologia degli attuali governanti Cinesi, pero', non sorprende. L'"unita' della Cina" e' vista dal Partito Comunista Cinese come una concetto quasi sacro. Il mantenimento di questa' unita' sarebbe la missione storica del Partito e la giustificazione stessa della sua esistenza. Nonostante il fatto che Taiwan sia gia' indipendente nella pratica da quasi 70 anni, quello che risulta insopportabile ai burocrati di Pechino e' l'idea che questa separazione possa essere messa nero su bianco, e Taiwan riconosciuta come nazione da tutto il mondo.

Se Taiwan dichiarasse formalmente la sua indipendenza, non fare nulla sarebbe un'ammissione di impotenza insopportabile per Pechino. Il popolo Cinese, per la maggior parte compatta dietro alla sua leadership nell'opporsi all'indipendenza Taiwanese, lo prenderebbe come un sintomo di debolezza. Finche' il sistema politico Cinese rimane quello che e', appare impensabile che la Cina possa permettere a Taiwan di dichiarare l'indipendenza senza reagire. Il grande dispiegamento di forze militari Cinesi sulle coste del Fujian, con i missili puntati contro Taiwan, non servono certo a calmare gli animi dei Taiwanesi. Anche la settimana scorsa il generale in pensione e noto ultra-nazionalista Cinese Luo Yuan ha dichiarato che se Taiwan continuera' a cercare l'indipendenza, uno scontro militare sara' inevitabile.

Da parte sua il governo Cinese afferma di volere la riunificazione con Taiwan secondo lo schema di "un paese due sistemi", sotto il quale e' stato gestito il ritorno di Hong Kong alla Cina. Il principio sarebbe che Taiwan perderebbe la sua sovranità, ma manterrebbe un sistema legale e politico separato da quello "socialista" della Cina Popolare, che le permetterebbe di mantenere la sua peculiarità secondo il modello di Hong Kong. Il problema pero' e' che le recenti vicende di Hong Kong dimostrano che le autorità di Pechino sono sempre più pronte a violare l'autonomia di cui l'ex-colonia Britannica dovrebbe godere fino al 2047. Anche per questo, sono ben pochi i Taiwanesi che credono davvero di poter mantenere un sistema democratico sotto il controllo di Pechino.

Se la Cina dovesse davvero tentare la via militare per risolvere la questione Taiwanese, si scontrerebbe di sicuro con gli Stati Uniti, la potenza che in realtà garantisce da sempre l'autonomia di Taiwan. Nel 1979 il Congresso Americano passo' una legge sulle relazioni con Taiwan, che assicura il sostegno militare a Taiwan nel caso di un attacco o di un invasione da parte della Repubblica Popolare Cinese. Da parte sua, il Congresso Nazionale del Popolo Cinese nel 2005 approvo' una "legge anti-secessione" che, nell'articolo 8, riserva alla Cina il diritto di usare la forza nel caso di una dichiarazione di indipendenza di Taiwan, o nel caso che "si esauriscano le possibilita' di una riunificazione pacifica". E' quindi chiaro che qualsiasi cambiamento dello status quo potrebbe portare ad una contesa militare tra le due superpotenze.

Il parlamento di Taipei occupato dagli studenti nel 2014

A complicare ancora le cose, l'economia Taiwanese e' quasi del tutto legata a quella della Cina continentale. Gia' negli anni ottanta, gli investimenti Taiwanesi hanno svolto un ruolo importante nella virata della Cina verso l'economia di mercato. Da allora la quantità di investimenti e di commercio reciproco e' aumentata di continuo. Durante gli anni del governo Mao Ying Jeow, del Guomindang (2008-2016), c'e' stato un enorme incremento degli scambi tra i due fianchi dello stretto. Nel 2008 sono stati ristabiliti i voli diretti tra la Cina e Taiwan, e da allora si e' visto un grande aumento del turismo e degli investimenti reciproci. Attualmente la Cina Popolare riceve il 30% delle esportazioni Taiwanesi.

Non tutti pero' sono felici di questo stato di cose. Molti sostengono che mentre alcuni oligarchi e grandi compagnie Taiwanesi hanno beneficiato moltissimo dallo stretto rapporto economico con la Cina, la maggior parte della popolazione non ne' ha tratto vantaggi chiari, mentre l'economia continua a ristagnare. Gli investimenti dei magnati Cinesi nel settore immobiliare hanno reso sempre piu' alti i costi delle case. Inoltre buona parte dei Taiwanesi teme una eccessiva dipendenza dalla Cina. Gli accordi commerciali firmati con Pechino da Ma Ying-Jeow negli ultimi anni hanno attirato forti proteste nell'isola. Nel 2014, gli studenti del cosiddetto "Movimento dei Girasoli" hanno occupato l'aula del Parlamento di Taipei per settimane, per protestare contro un Patto commerciale firmato da Ma Ying-Jeow con la Cina Popolare.

Il Guomindang e' ormai visto da buona parte dei giovani e dei lavoratori Taiwanesi come un partito conservatore, troppo legato a Pechino ed agli interessi di pochi privilegiati. Per questi motivi, Tsai Ing-wen ha trionfato nelle urne. La speranza di molti Taiwanesi e' che il nuovo governo possa cambiare corso e portare l'isola ad una posizione piu' autonoma. Senza, pero', far infuriare troppo il gigante Cinese a 130 chilometri di distanza.